Altra mattinata stupenda. Il sole brilla in un cielo azzurrissimo, cosparso di qualche nuvoletta che contribuisce a rendere perfetto il quadro complessivo.
Non vi ho ancora detto nulla circa la durata delle giornate qui in Alaska. Siamo qualche centinaio di chilometri a sud del circolo polare artico, quindi il sole di mezzanotte non lo possiamo vedere in questo periodo (e nemmeno il giorno del solstizio), però vi assicuro che a mezzanotte non è affatto buio, anzi! C’è un bel chiarore come quello che si ha alle nostre latitudini subito dopo il tramonto.
Bisogna dire che quassù la durata del tramonto e del crepuscolo sembrano allungarsi incredibilmente. Una sera sono stato ad osservare il sole, ormai prossimo a sparire dietro una montagna, ma lui continuava a starsene lì in quella posizione, come se non volesse andare a dormire. Dario, che come tutti i ragazzini è un super esperto di astronomia, mi ha spiegato il perché di questo fenomeno: all’equatore la durata del crepuscolo è praticamente nulla (si passa dalla luce al buio con il tramontare del sole), mentre andando verso nord aumenta sempre più, raggiungendo la sua massima durata oltre il circolo polare artico, dove il crepuscolo, quando il sole è all’equinozio, dura 24 ore! Non so se ho riportato bene la lezione, ma se qualche lettore vorrà correggermi sarò ben lieto di pubblicare una rettifica, non si smette mai di imparare!
A malincuore lasciamo il Denali National Park, questa riserva naturale dove nemmeno le briciole di pane possono essere abbandonate sul terreno, questo parco nazionale la cui superficie è superiore a quella della Lombardia ci ha stregati e conquistati per sempre.
Quando ci alziamo il cielo è azzurro e l’aria limpida. Riordiniamo le valigie (non dico che le facciamo, perché non vengono mai disfate), facciamo colazione e via, sulla strada, on the road.
Giunti a questo punto del viaggio avevamo due possibilità: proseguire verso nord fino a Fairbanks per poi virare a sud lungo la Richardson Highway fino a Valdez, oppure tagliare verso est e raggiungere la Richardson attraverso una regione estremamente solitaria percorsa dalla Denali Highway. Ebbene abbiamo scelto questa seconda opzione: al fascino della frontiera del grande nord abbiamo preferito l’avventura di una strada sterrata che attraversa la tundra per duecento chilometri. Non posso dire cosa ci siamo persi con questa scelta, ma certamente vi dirò che cosa abbiamo trovato, perché l’esperienza vissuta viaggiando in questi territori è stata eccezionale.
Wilderness è una parola che piace molto agli americani e nei parchi nazionali è una specie di mantra che si ripete in mille occasioni. Se consultate qualche dizionario troverete che significa “landa desolata” oppure “deserto”, ma a me piace tradurla con “natura incontaminata”.
Infatti, il concetto di wilderness è quello di un luogo dove l’uomo non interviene in alcun modo e, se lo fa, cerca non solo di non alterare gli equilibri ma addirittura di non lasciare alcuna traccia. Qualche esempio? Durante un’escursione in queste regioni non si cammina in fila indiana, per non creare dei sentieri. Quando si mangia del cibo, non solo si riportano indietro i rifiuti, ma addirittura non si lasciano cadere le briciole a terra, affinché gli animali non si abituino al cibo umano!
La giornata di oggi è dedicata ad una wilderness esperience chiamata “discovery hike” o semplicemente “disco hike”. Si tratta di un’escursione guidata da un ranger del parco nazionale a cui possono partecipare al massimo una decina di persone e che si svolge, come si diceva prima, fuori da qualsiasi percorso, traccia o sentiero. Il punto di partenza è il solito Wilderness Access Center, detto anche WAC, posto all’ingresso del parco. Qui ci troviamo alle 7:45 con gli altri partecipanti e prendiamo uno shuttle bus che ci porterà nel luogo da cui inizierà l’escursione, al mile 26 della Park Road. La nostra accompagnatrice, la ranger Cathy, sale sul bus dopo di noi e inizia a fare l’appello: oggi siamo sotto la sua custodia! Continua a leggere →
Boer… Bear, cambia solo una vocale, che ci sia un legame? Molto spesso mi sento un orso (e qualcuno me lo dice pure). Sarà per questo che mi sento così attratto da questi animali?
Ma andiamo con ordine.
La giornata di oggi la dedichiamo ad una visita approfondita del parco nazionale del Denali e quando dico approfondita non sto scherzando: la Park Road è l’unica strada che si addentra nella riserva ed è lunga (udite udite) ben 150 chilometri! Ma non si tratta di una comoda strada asfaltata con le corsie di emergenza, strisce pedonali, stazioni di servizio e piazzole di sosta: la Park Road è una pista sterrata, stretta, in molti punti talmente stretta ed esposta su precipizi vertiginosi come quello che porta al Polichrome Pass, da mettere seriamente alla prova chi soffre di vertigini.
Fortunatamente la strada è chiusa al traffico privato. Un sistema molto efficiente di navette la percorre da un capo all’altro per tutta la giornata e i visitatori possono salire e scendere dai bus ogni volta che lo desiderano. Gli autisti sono molto simpatici e alla mano, chiacchierano amabilmente con i passeggeri e forniscono anche un minimo di informazioni geografiche e naturalistiche. Poiché uno dei motivi principali per cui si viene qui è la possibilità di avvistare animali selvatici, l’autista spiega subito ai suoi travel companions che se qualcuno avvista qualcosa sarà sufficiente urlare STOP! e lui si fermerà per darci il tempo di filmare, fotografare e ammirare l’animale, il panorama o qualunque cosa esso sia.
Quando ho programmato questo viaggio, avevo pensato che per questa tappa avremmo dovuto partire alla mattina presto, con la prima navetta disponibile. In questo modo la possibilità di avvistare animali, in particolare orsi e alci, sarebbe stata massima. Il fatto di essere ancora a inizio vacanza, con il jet lag ancora da smaltire del tutto, doveva semplificare le cose ed aiutarci a svegliarci presto, invece… Continua a leggere →
Il tempo oggi è splendido. Sapevamo della grande variabilità del meteo in Alaska, ma ora la stiamo sperimentando in prima persona e ora dopo ora! Dopo aver fatto colazione montiamo in auto e ripartiamo verso nord, destinazione Denali National Park, uno dei più grandi parchi nazionali alaskani e di tutti gli Stati Uniti. Denali è uno dei tanti nomi con cui i popoli nativi chiamavano la grande montagna, successivamente battezzata McKinley dagli americani, principale attrazione del parco. Continua a leggere →
Come sapevamo bene non sarebbe stato semplice dormire: appena il corpo si è riposato a sufficienza scatta l’orologio biologico che ti dice che per lui è mezzogiorno e ti devi alzare. Ma sono appena le due di notte accidenti! In un modo o nell’altro tiriamo avanti fino alle sette, quando Irene ci fa trovare una colazione che potrebbe sfamare un esercito. Il nostro appetito è formidabile e così rendiamo onore alla cuoca.
Alle otto siamo in macchina e guidiamo verso nord, destinazione Talkeetna. Il tempo non è bello, piove e c’è un’arietta frizzante che ci costringe ad accendere il riscaldamento dell’auto. Dai trenta gradi di Venezia ai dieci di Anchorage, un bel salto!
La George Parks Highway è una delle strade panoramiche alaskane, collega Anchorage e Fairbanks attraversando per centinaia di miglia foreste, laghi, montagne, vallate. Il traffico è leggero e ordinato, usciti da Anchorage tende sempre più a diminuire e presto ci troviamo ad essere una delle poche auto in circolazione.
Talkeetna è una cittadina (ma cittadina è una parola grossa) piccola e ordinata: tutto sorge lungo una strada, la Main Street, che ricorda gli antichi villaggi della corsa all’oro. Un tempo qui si erano stabiliti degli hippies e qualcuno se ne vede ancora. L’ostello dove alloggiamo, per esempio, reca chiare tracce di quel periodo e i ragazzi ospiti della struttura (ma, anche in questo caso, chiamarla struttura è esagerato: è un prefabbricato in mezzo al bosco!) sembrano ancora vivere come ai tempi di Woodstock.
Quando nel pomeriggio smette di piovere ed appare il sole andiamo ad informarci per effettuare un volo panoramico sul Mt. McKinley, la vetta più alta del Nord America. Dei piccoli aerei decollano infatti da una pista in mezzo alla foresta e volano verso la grane montagna, compiendo tragitti diversi a seconda del prezzo pagato. Noi scegliamo la proposta più economica, il volo di un’ora che arriva fino al McKinley, sorvolando alcuni ghiacciai. In realtà siamo fortunati: forse per scarsità di adesioni veniamo inseriti in un volo più lungo, che dura un’ora e mezzo e fa un bel giro attorno alla cima della montagna. Il pilota è abilissimo: volteggia tra le guglie e si avvicina alle pareti rocciose con una maestria incredibile. I panorami vertiginosi tra la roccia, il ghiaccio e le nuvole, sono veramente mozzafiato. Mentre pubblico questo post ho una connettività molto limitata, ma nei prossimi giorni, appena avrò la possibilità, aggiungerò delle foto scattate da questo piccolo aereo.
Ma non è solo la cima innevata e torreggiante a costituire l’attrazione di questo viaggio. Anche sorvolare le immense foreste che circondano Talkeetna è un vero spettacolo: boschi di abeti e betulle a perdita d’occhio intervallati solo da fiumi e laghi azzurrissimi. Gli unici segnali di civiltà sono la George Parks Highway, la ferrovia che solca le foreste ed il piccolissimo centro di Talkeetna che, visto dall’alto, appare ancor più una piccolissima macchia di colore su un’immensa tela verde e azzurra.
Tornati alla base, andiamo a mangiare qualcosa e a commentare le meraviglie a cui abbiamo assistito, infine ce ne torniamo tra gli hippies immersi nei loro discorsi e nei loro fumi.
Del viaggio in aereo vi ho già detto nel post precedente. Una volta atterrati affrontiamo il solito disbrigo dell’immigrazione, con poliziotti sorridenti che ci fanno il terzo grado, ci prendono le impronte e ci fanno la fotografia. Poi andiamo a ritirare i bagagli e infine l’auto che abbiamo prenotato dall’Italia.
Questa è la parte più noiosa di un viaggio fai da te, gestire tutte le questioni organizzative: dove dormire, dove mangiare, i biglietti per questo e per quello, come arrivare di qua e di lá. I viaggi organizzati sono più comodi, sali a bordo e da quel momento sei affidato ad un accompagnatore sorridente che ti trasporta ovunque, non devi pensare a nulla, nessuna preoccupazione… Ma a me non piacciono. Preferisco di gran lunga la vacanza fai da te, con tutti i suoi possibili disagi e contrattempi, come quella volta che si fermò il motore dell’auto nel Custer State Park in South Dakota (vedere qui per scoprire come andò). E poi mi piace preparare il viaggio, studiando per mesi guide e cartine, siti e resoconti di altri viaggiatori, tirando avanti fino a notte fonda. È un modo per iniziare a viaggiare con la mente prima che con il corpo.
E così, ritirata l’auto, una Jeep Patriot, il nostro viaggio inizia per davvero. Il principale obiettivo di oggi però sarà cercare di tirare avanti il più tardi possibile: è mezzogiorno, ma per i nostri poveri organismi, sintonizzati sul meridiano GMT+1, l’orologio biologico segna le 22:00 (e siamo in piedi dalle quattro!). Così andiamo al nostro bed and breakfast, gestito da Irene, una simpaticissima signora olandese emigrata qui oltre quarant’anni fa e che parla anche l’italiano. Il posto si chiama Alaska European Bed and Breakfast, per ricordare le origini europee della titolare, e ogni camera è tematizzata. La nostra per esempio si chiama Africa ed è stata arredata ispirandosi al continente nero: lenzuola zebrate, coperte leopardate, lance e maschere tribali alle pareti, leoni e giaguari in peluche ovunque. Simpaticissima, non c’è che dire!
Andiamo a fare un giro a downtown. In realtà avremmo voglia di andare diretti a nanna, ma la buona regola del viaggiatore dice che bisogna cercare di adattarsi il più presto possibile al nuovo orario, così passeggiamo stancamente per la via principale di Anchorage entrando e uscendo per i negoziati di souvenir. Ci sarebbe un museo molto quotato, con esposizioni sulla corsa all’oro, sull’arte dei nativi e sulla flora e la fauna di questo paese, ma siamo degli zombie che vagano e poi è meglio stare all’aperto, esponendosi alla luce del sole per far capire al cervello che è giorno e che la ghiandola pineale non deve azzardarsi a secernere la melatonina.
Andiamo lungo lo Ship Creek, un corso d’acqua cittadino noto per essere letteralmente pullulante di salmoni. In effetti, appena ci avviciniamo alla riva notiamo un grosso esemplare dall’inconfondibile colore rosso che sguazza nell’acqua gelida. Lungo il torrente ci sono decine di pesatori intenti a fare incetta dei succulenti animali.
Ce ne torniamo lemmi lemmi verso l’Alaska European B&B e alle sette in punto ci mettiamo a dormire nella giungla della nostra Africa!
Il volo da Francoforte ad Anchorage dura nove ore e mezza, con partenza alle 11:25 e arrivo alle 10:45. Grazie alla differenza di fuso orario di ben dieci ore possiamo dire che arriviamo prima di essere partiti! Oppure, detta in altro modo, partiamo nel futuro e arriviamo nel passato. O ancora, il nostro aereo viaggia più veloce della luce (del sole). Di nuovo: oggi vivremo una giornata di 34 ore, con una colazione due pranzi e una cena… Ragionamenti sconclusionati che si affacciano alla mia mente grazie anche alla levataccia delle quattro di mattina.
Il volo è tranquillo e tutto sommato il tempo passa in fretta tra un riposino, una buona lettura, una chiacchierata con la mia vicina di sedile, una signora alaskana che rientra a casa dopo una vacanza in Europa, e qualche caffè per tenere duro il più possibile durante questa lunghissima giornata. La signora è simpatica e ciarliera, così approfitto per rimuovere un po’ di ruggine dal mio inglese, che non esercito da due anni.
Scherzando con Silvia e Dario giochiamo a darci degli incarichi per questa vacanza: io sarò addetto alle comunicazioni, dato che sono l’unico a padroneggiare la lingua, Silvia alla logistica (le sue doti organizzative e la sua concretezza sono una garanzia), Dario al vettovagliamento, visto il suo appetito leggendario e la sua passione senza pari per il cibo.
Stiamo sorvolando la Groenlandia, il cielo è limpido e sereno, possiamo scattare queste foto e condividerle con tutti voi.
A più tardi.
Andrea, Dario, Silvia
Into the wild, gran bel film! Fotografia sublime, musiche coinvolgenti, storia appassionante. Ma non è per questo che abbiamo scelto l’Alaska.
Ricordo che frequentavo la terza elementare, forse la quarta, quando vidi una foto nel sussidiario (allora si chiamava così, nella preistoria degli anni settanta): rappresentava un ghiacciaio che scendeva in riva al mare, o forse era un lago, tutto circondato da montagne imponenti che si riflettevano su quelle acque blu. Fu amore a prima vista. Passano gli anni (parecchi) e veniamo ai giorni nostri, quando, pochi mesi fa, faccio vedere a mio figlio Dario un filmato girato nel Katmai National Park, dove si vedono delle meravigliose immagini di orsi grizzly che cacciano i salmoni ai piedi delle Brooks Falls. Anche Dario si innamora e così, convinta anche mamma Silvia che teme il freddo, iniziamo a pensarci seriamente.
È un viaggio impegnativo, sia dal punto di vista economico, dato il costo particolarmente elevato di ogni cosa a quelle latitudini, sia dal punto di vista fisico, viste le dieci ore di differenza di fuso orario e i venti gradi in meno di temperatura che mediamente troveremo lassù. Tuttavia i panorami, gli spazi infiniti, la natura selvaggia e la fauna padrona del territorio, dove è l’uomo ad essere ospite, ci ripagheranno sicuramente dello sforzo e delle fatiche.
Partiremo giovedì da Venezia e, dopo uno scalo a Francoforte, voleremo fino ad Anchorage da dove inizierà la nostra avventura. Abbiamo prenotato il volo di andata e ritorno e l’auto che ci porterà sulle scenic byways alaskane per quindici giorni. I nostri alloggi saranno ostelli, bed and breakfast, motel e, nelle località più remote, dormiremo in qualche lodge appositamente realizzato per chi non se la sente di passare la notte in tenda.
Dopo Anchorage partiremo verso nord, alla volta di Talkeetna, dove avremo un primo approccio con la Wilderness nordamericana. La tappa successiva sarà il Denali National Park, dove contiamo di fermarci tre giorni. Si tratta di un parco nazionale sterminato, in cui l’unica strada che lo attraversa, sterrata, percorre vallate e passi di montagna addentrandosi verso il nulla per 150 chilometri. All’interno di questo regno incontaminato, dove anche i sentieri segnati sono banditi, sorge la vetta più alta del Nord America, il Mt. McKinley, o Denali come lo chiamavano i nativi, che supera i seimila metri di altezza.
Partiremo quindi verso ovest e percorreremo un’altra strada non asfaltata, la Denali Highway, che attraversa la tundra artica per 220 chilometri tra montagne, fiumi impetuosi, laghi e ghiacciai fino a congiungersi con la Richardson Highway, la prima autostrada d’Alaska, che percorreremo verso sud fino a Valdez, cittadina celebre soprattutto per uno dei più catastrofici incidenti petroliferi della storia americana. Qui visiteremo il Prince William Sound, lo stupendo braccio di mare in cui, tra gli iceberg, nuotano orche, otarie e balene e quindi con un traghetto ci porteremo a Whittier e da qui a Seward. Siamo nella Kenai Peninsula, dove visiteremo ancora fiordi e ghiacciai. Da Homer voleremo in idrovolante nel Katmai, luogo dove è stato girato il video che ha fatto innamorare Dario, trent’anni dopo che il mio sussidiario delle elementari aveva conquistato me, e questa sarà la nostra ultima meta, prima di rientrare ad Anchorage e, da qui, in Italia.
Luglio è un mese fantastico. La natura è sbocciata ovunque, i pascoli sono pieni di vita e soprattutto migliaia di fiori colorano gli alpeggi, i pendii e persino i ghiaioni! Sembra impossibile ma anche tra i sassi spuntano centinaia di mazzetti colorati. La vita trionfa sempre, come un miracolo che si ripete ogni anno, lentamente ma senza sosta.
Mi piace sdraiarmi a terra e osservare i fiori da vicino, ammirare i mille particolari, i più piccoli dettagli, le tonalità di colore, le sfumature. Poi mi piace rialzarmi e osservarli tutti insieme, cercando stavolta di non concentrarmi più su uno solo di essi, abbracciando con lo sguardo una porzione più ampia possibile di terreno e lasciando impressionare i miei sensi dal meraviglioso caleidoscopio che ho davanti a me.
Papà! Papà! Andiamo avanti, sennò stasera siamo ancora qui!
Dario mi chiama. In effetti dovrei muovermi, la nostra meta, Malga Fanes Grande, è ancora lontana…
Dai papà, basta con quei fiori! Vieni! Sono tutti uguali!
Mi rimetto in cammino e raggiungo Dario e Silvia. Però non è vero che sono tutti uguali, sono tutti stupendamente diversi. Non ce n’è uno uguale all’altro. Anche i fiori della stessa specie, cresciuti sullo stesso lembo di terreno, baciati dagli stessi raggi di sole, accarezzati dallo stesso vento o sferzati dalla stessa pioggia, sono completamente diversi tra loro. Meraviglia della Natura: ci fa tutti così simili, eppure così diversi. Non ci sono due esseri identici in tutto il creato, siano essi piante, uomini o animali.
E così proseguiamo fino a Malga Fanes Grande, immersi in questi pensieri così leggeri e così profondi, baciati dal sole e circondati da mille diversi colori.