Cent’anni dopo regna il silenzio sul Monte Piana.
Bisogna venirlo a cercare il silenzio, sia chiaro. Non lo troverete durante l’estate chiassosa, quando rombano i motori dei fuoristrada che portano su i turisti da Cortina. E nemmeno durante l’inverno imbiancato, quando le motoslitte cariche di gente pigra e ingorda ronzano peggio di zanzare sulla povera schiena martoriata di questa nobile montagna.
Triste destino quello del Monte Piana: deturpato dalle trincee, scosso dai cannoni, tomba a cielo aperto cent’anni fa, durante la Grande Guerra. Tormentato da mezzi a motore e da folle vocianti per dieci mesi all’anno ai giorni nostri.
Ma in questo mese novembre, quando la montagna riposa dopo la breve estate e prima del lungo inverno, il Monte Piana respira e riconquista se stesso: nessun vociare di folle salite quassù senza fatica, solo il respiro leggero di chi ama i monti e li rispetta per ciò che sono e non per ciò che possono fruttare.
Ogni cosa riprende la sua giusta dimensione: il silenzio assoluto, la bianca distesa di neve che brilla sotto il sole pallido, le antiche trincee si intravvedono tra i cumuli di neve e scorrono sulla groppa della montagna come tanti canali asciutti, le impronte di uomini e animali disegnano astruse trame.
Siedo su una pietra e consumo il mio pranzo frugale: un semplice panino che però, in questo contesto, mi sembra il cibo più buono del mondo. Attorno a me le montagne più belle:
la Croda Rossa
I Cadini
Le Tre Cime di Lavaredo
Il Cristallo
Le trincee si aprono nella neve come profonde cicatrici nella carne di un gigante, come immense rughe sulla pelle questo antico essere che domina le Valli.
Le tracce di una lepre seguono incomprensibili percorsi e si perdono sull’altopiano. I miei occhi le seguono e la mente si immerge nel bianco e nel blu.