Sei mesi fa, 24 novembre 2013, una domenica. Sono le dieci del mattino quando suona il telefono, è Elvio che mi dà la notizia: Roberto ci ha lasciato. Un colpo secco che mi toglie il fiato come un pugno nello stomaco. Un groppo alla gola e poi uno scoppio di pianto, irrefrenabile.
Roberto era più di un collega, era un amico. Lavoravamo assieme da quindici anni, ma era stato negli ultimi tre che ci eravamo trovati a condividere veramente la strada: quasi coetanei, entrambi a ricoprire un ruolo analogo, entrambi ad affrontare gli stessi problemi in un periodo particolarmente difficile per tutti: io, lui e Elvio. Si dice che nelle difficoltà possono accadere due cose: ci si stringe l’uno all’altro e si sconfiggono le avversità oppure i legami che dovrebbero tenerci uniti si spezzano e si cola a picco. Nel nostro caso era stata la prima ipotesi a verificarsi: ci eravamo uniti, ci aiutavamo, avevamo creato una squadra.
Roberto era migliore di me. Non l’ho mai visto alterato, nemmeno quando ne avrebbe avuto tutti i motivi. Sorrideva e solo un’ombra nello sguardo rivelava la preoccupazione o il disappunto. Laddove io avrei fatto volar per aria scrivania, sedie e computer (e ci sono andato vicino qualche volta), lui semplicemente taceva e con un sorriso comunicava pacatamente il suo punto di vista. Sapeva sempre come comportarsi, cercava sempre una soluzione, anche rischiando di suo e questo lo fanno in pochi, soprattutto in questi tempi.
Mi domando spesso cosa farei se capitasse a me di ammalarmi. Non sono credente ma non temo la morte, ritengo di avere avuto tanto dalla vita, di essere in attivo (mettiamola così) e quindi se me ne dovessi andare, seppur prematuramente, ci avrei comunque guadagnato. Non temo la morte dunque, ma temo il vuoto che lascerei nelle vite dei miei cari e questo è ciò che non mi dà pace quando penso a Roberto e alla sua famiglia.
Sono passati sei mesi, era la fine di novembre, il freddo e umido autunno padano ti ha portato via. Una folata di vento e la tua foglia ormai debole, stanca, si è staccata dall’albero della vita e ci hai lasciato. Sono passati sei mesi, ma è come se fosse ieri e non passa giorno in cui non pensi a te almeno una volta.
In questo mese di maggio anche Laura ci ha lasciato. Anche lei, collega e amica da tanti anni, è partita per il grande viaggio. Laura era gentile, di una cortesia ormai sconosciuta, sempre sorridente, serena, allegra. Poteva sembrare un carattere tranquillo, di quelli che i prepotenti godono a sopraffare, ma non era così: era tenera e gentile con chi meritava la sua cortesia e la sua gentilezza, ma non sopportava maleducati e prepotenti, rampanti e arrivisti, che con lei non avrebbero avuto vita facile.
Era gentile e tranquilla Laura, ma guai, guai affrontare certi temi: si accendeva e discuteva con passione ed energia. E non mollava mai, era tenace, difendeva le proprie idee e i principi in cui credeva. Tenera con i mansueti, forte con i forti, ma sempre corretta e leale con tutti.
Abbiamo collaborato direttamente e intensamente per anni e l’ho apprezzata per la serietà del suo lavoro, per l’impegno profuso fino all’ultimo giorno, per la capacità di adattarsi e di cambiare in un contesto difficile come quello dell’information technology, dove 10 anni equivalgono ad un’era geologica e dove fai presto a sentirti un dinosauro, dove riuscire ad adattarsi e sopravvivere (professionalmente parlando) è difficile come in natura lo è per una specie che rischia l’estinzione. Lei c’è riuscita e di ere geologiche ne ha attraversate ben tre: l’informatica classica al tempo del mainframe, l’invasione dei PC ed il client server, la Grande Tela e il pervasive computing.
Dopo una lunga malattia Laura se n’è andata, ci ha lasciato da soli in questo mese di maggio denso di profumi che richiama alla vita e alla gioia, che è una porta affacciata sull’estate luminosa e gaia. Maggio, il mese delle rose, il mese della Madonna in cui non credevi e in cui non credo, te ne sei andata nella settimana in cui si festeggiano le mamme, tu che mamma non eri ma che come mamma saresti stata perfetta, in questo periodo foriero di vitalità e promesse ci hai lasciato.
Un pensiero, un rammarico: perché non vi siete salvati? Perché non siete guariti? Molti ce la fanno, molti se la cavano ed escono vincitori dall’odiosa malattia. Voi no, non siete riusciti a guarire e ora siamo qui, con un grande vuoto nel cuore, a ricordare i bei momenti trascorsi assieme, a ripercorrere con la memoria il tratto di sentiero che abbiamo percorso in compagnia.
Roberto, Laura, è stato un privilegio camminare con voi.
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