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azienda, Candiello, capitale umano, competenze, condivisione, crescita individuale, dirigenti, economia, management, motivazione, obiettivi, organizzazione, patrimonio aziendale, personale, squadra, strategia, team building
Sto leggendo un libro di Antonio Candiello: “Economia, organizzazione e qualtà”, edito da libreriauniversitaria.it. Una frase, a pagina 12, ha colpito la mia attenzione:
Si pone quindi l’opportunità di far leva sulle competenze e sull’impegno del personale, vero patrimonio aziendale, e massima attenzione deve essere data alle esigenze di ciascun componente, favorendone la crescita individuale nell’organizzazione e assecondandone gli obiettivi motivazionali secondo modalità che richiedono un continuo aggiornamento.
È così semplice, così lineare, da sembrare persino banale: le organizzazioni sono fatte di persone e quindi per avere un’organizzazione migliore è basilare investire nel personale, nel “capitale umano”, come ormai è uso definirlo.
Catalano direbbe: è molto meglio avere dipendenti realizzati e ben pagati in un’organizzazione che funziona e di successo, piuttosto che avere personale demotivato, incacchiato in un’azienda che va a rotoli.
Giusto.
Ma guardate che non è affatto banale. Non è affatto banale e dovremmo tutti ripartire proprio da questo concetto di base: l’azienda è fatta di persone, poi viene tutto il resto. Potete mettere il miglior pilota del mondo alla guida di un’auto scarsa: non vincerete mai una gara! Potete inventare la ricetta più strafichissima che ci sia, ma se usate ingredienti scadenti il risultato non sarà quello che avevate in mente.
Nel caso delle organizzazioni gli ingredienti sono le persone, la risorsa più importante, il “vero patrimonio aziendale” come dice Candiello. Inutile elaborare teorie, diagrammi, processi, ingaggiare consulenti, fare riorganizzazioni se poi alla fine della fiera il personale non è coinvolto, motivato, appagato, ma, peggio, è sfiduciato o addirittura rema contro il management.
I manager che avviliscono e demotivano i propri collaboratori facendoli sentire inutili, che esercitano il potere umiliando le persone da cui invece dovrebbero distillare il meglio che c’è o ancora che instaurano un clima di paura, minacciando rappresaglie contro chi commette un errore, non sono degni di ricoprire tale ruolo. Hanno sbagliato mestiere.
Condividere, persuadere, responsabilizzare, premiare, dare autonomia pur nel rispetto delle sacrosante politiche aziendali, queste le parole chiave che ogni dirigente dovrebbe ripetersi ogni mattina come un mantra andando in ufficio, magari ricordandosi di non perdere quel briciolo di umanità e di umiltà che non guastano, perchè anche il più alto e ben pagato dirigente che siede su una poltrona di pelle umana ha pur sempre due occhi, un naso, una bocca e un buco del culo.
La condivisione, il fare gruppo (o team building, che è più fico ma ha lo stesso significato), la comunicazione spingono ognuno a moltiplicare le energie in campo, a mettere la propria fantasia e creatività al servizio dell’organizzazione, consentendo di raggiungere gli obiettivi aziendali e personali, facendoli diventare una cosa sola, magari persino divertendosi nel contempo, facendo sì che il lavoro non sia una condanna, un peso, ma addirittura un piacere perché si realizza sé stessi e ci si sente utili alla causa comune.
Utopia? Secondo me e Candiello no, anzi un dovere.
Bell’articolo Andrea !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
Grazie Vale!!!!!!!!!!!
L’ha ribloggato su Politica, Ambiente e Tecnologiae ha commentato:
Ecco alcune profonde riflessioni che collegano la teoria delle organizzazioni alla concretezza della pratica quotidiana della condivisione degli obiettivi, perseguendo l’autonomia e la responsabilizzazione dei collaboratori.
Va sottolineato il chiaro richiamo ai valori di umanità ed umiltà che devono sempre essere nel bagaglio di chi ha un ruolo guida, per “moltiplicare le energie in campo” e portare i gruppi ad esprimere le migliori potenzialità a vantaggio dell’organizzazione ma concorrendo anche a perseguire la realizzazione individuale.
Grazie Andrea Boer!
Grazie a te Antonio!
Andrea, credo che tu abbia colto il centro, lo spirito che dovrebbe guidare una buona gestione aziendale. Tante parole sono state spese per migliorare e ottimizzare la produttività delle persone e delle aziende, ma come dici tu bisognerebbe ripartire dall’essenziale: l’attenzione, la motivazione e la crescita delle persone
ciao
Tiziano
Grazie Tiziano, era proprio quello che volevo dire. Inutile darsi tanto da fare per migliorare i processi se tutta la squadra non è motivata e coesa. Ovviamente vale anche il contrario: inutile avere personale qualificato e motivato in un’organizzazione che fa acqua da tutte le parti.
Sarà frutto del mio carattere pessimista ma, pur condividendo appieno queste parole, io sto vedendo sempre più scuro all’orizzonte 😦
Non mi riferisco tanto o solo all’ambiente lavorativo in sé, ma all’ambito del sociale in generale. Anzi vorrei dire che, professionalmente parlando, fortunatamente ho trovato manager che erano persone prima che capi.
Piuttosto la mia esperienza di vita mi induce a notare che l’interesse personale sta aumentando a scapito dei valori di eticità che dovrebbero guidare tutti i comportamenti umani (compresi quelli lavorativi). E sono convinto che anche nel mondo del lavoro, dove c’è un dare e un avere più cogente, alla fin fine un’attenzione al “capitale umano” favorirebbe quel tornaconto che il business richiede.
Mi auguro vivamente di sbagliarmi e vedere da qui in avanti un’inversione di tendenza…
Grazie compare orso! Ma non essere così pessimista, la storia è piena di corsi e ricorsi, viviamo un’epoca di transizione, con aspetti negativi e altri positivi, cerchiamo di cogliere i secondi e di lottare per migliorare i primi…
Non può funzionare perché se questi sacrosanti (e fonte di vera intelligenza) principi venissero applicati, i sindacati onesti non avrebbero più nulla da fare e non ci sarebbero più scioperi.
Ergo: “Ci vogliono gli scontenti così i sindacati non rimangono disoccupati”.
Buon Pomeriggio.
Quarc
Alle volte funziona Quarc, alle volte.
Buona serata amico mio.
Certo… alle volte.
Quarc
Non succede solo nelle grandi organizzazioni purtroppo ma anche nelle piccole aziende. Il fatto è che chi “comanda” troppo spesso pensa che per fare il capo basti essere il titolare, il proprietario o il dirigente; invece dirigere è un lavoro, che va imparato e per cui non tutti sono portati. Si parla tanto di formazione per i dipendenti, meglio sarebbe pubblicizzare di più l’importanza della formazione per i capi, in primis!
Hai perfettamente ragione! Non esiste un titolo di studio per fare il manager e invece tutti gli aspiranti tali dovrebbero essere adeguatamente formati. Poi è un mestiere che si può imparare anche con l’esperienza (come tutti i mestieri), però nel frattempo si rischia di fare seri danni.
Verissimo Andrea, la capacità di motivare la gente, di farla lavorare insieme, motivarla, sono requisiti che un buon dirigente dovrebbe possedere. Purtroppo trovare dei buoni dirigenti non è facile. Così è, un abbraccio
Gente in gamba e meno in gamba la troviamo in tutte le professioni: idraulici, avvocati, magazzinieri, medici… Certo quando si lavora con le persone la professionalità da sola non basta, serve anche cuore, sensibilità e tanta esperienza.
Grazie della riflessione caro Enrico!