Anselmo aprì gli occhi e con un filo di voce disse: ho fame. Tonele ruppe in un pianto irrefrenabile e abbracciò forte il bambino, tanto forte che questo emise un gemito. Allora l’uomo si rese conto che forse il piccolo poteva essere ferito o avere una frattura o addirittura poteva essere moribondo, così si riprese dalla commozione e iniziò ad esaminarlo.
Anselmo sembrava perfettamente integro, anzi il bambino si alzò in piedi di scatto e disse nuovamente: ho tanta fame Tonele, ce l’hai qualcosa da mangiare?
L’uomo sorrise sotto i suoi baffoni ispidi, aveva gli occhi lucidi e un nodo alla gola gli impediva di parlare, ma dal tascapani estrasse un pezzo di formaggio stagionato, una fetta di pane nero e delle noccioline. Porse anche la sua borraccia al bambino, era piena di quel te che si portava via quando andava a caccia. Lo preparava bollente e molto zuccherato, poi avvolgeva la borraccia in una maglia di lana per mantenere la temperatura il più a lungo possibile. Anselmo mangiò e bevve avidamente e poi, insieme, si misero in cammino per rientrare in paese.
Vi risparmierò le scene commoventi che ebbero luogo al loro arrivo. Le lacrime della mamma, del nonno, il sollievo e la felicità che si diffusero rapidamente in tutto il paese. Restava ora da ricostruire la vicenda: che cosa era avvenuto? Perché Anselmo era andato via di casa? Con chi? Che fine aveva fatto il misterioso rapitore?
Furono prese in esame tutte le possibilità, non da ultimo una fuga del piccolo, che fu interrogato dai carabinieri, visitato dal medico ed ebbe persino un colloquio con una psicologa, un vero stress per il povero piccino, ma procediamo con ordine.
Innanzitutto diremo che Anselmo era sano, anzi sanissimo. Non aveva nemmeno un graffio in tutto il corpo. Il dottore, scherzando, disse che era solito vedere più escoriazioni ed ematomi sul corpo di un bambino che gioca a pallone nella piazza del paese che non su Anselmo che aveva girovagato nel bosco per un giorno e una notte.
Ma che cosa diceva il bambino di quella esperienza? Con chi si era allontanato da casa? Perché? Cos’altro era successo nel bosco? Dov’era finito l’oscuro sequestratore? Queste erano le domande che tutti si ponevano e a cui era necessario dare risposta.
E qui viene il bello cari lettori, perché Anselmo disse fin dal primo momento (e badate che lo disse senza alcuna esitazione) che il suo papà era venuto a trovarlo ed insieme erano andati nel bosco. Si, avete capito bene! Il papà di Anselmo, quello che sta di casa sulla stella al centro della cintura di Orione, era venuto fin quaggiù sulla terra per lui. Ora capirete perché venne chiamata anche la psicologa.
Chi era costui veramente? Cosa avevano fatto nel bosco? Anselmo raccontò ogni cosa con dovizia di particolari: raccontò di una lunga passeggiata, delle storie che il suo papà gli aveva raccontato, delle carezze che gli faceva cammin facendo. Su quest’ultimo punto si indagò a lungo per capire se c’era stato un tentativo di violenza, ma come abbiamo detto non si trovò alcuna traccia sul corpo e nella psiche del piccolo. Anselmo raccontò che infine, sedutisi assieme ai piedi di un grande albero, il papà lo aveva abbracciato forte e aveva iniziato a dargli tanti baci sulla fronte, sulle guance e sul collo, ma che purtroppo, proprio in quel momento, erano arrivati degli angeli dai lunghi capelli, con delle bellissime vesti bianche, ed avevano riaccompagnato il papà sulla sua stella.
Ecco come aveva fatto per venire da me, aveva concluso il racconto Anselmo, lo hanno portato gli angeli!
E così, come se non fosse già bastato l’enigma del rapitore misterioso, adesso veniva fuori anche la faccenda degli angeli! Secondo il bambino questi “angeli” avrebbero preso il suo papà e lo avrebbero riaccompagnato sulla sua stella.
Come sono fatti gli angeli? Chiese la psicologa. Hanno il volto come quello della tua mamma? Sono bellissimi come la mamma, rispose Anselmo, ma non le assomigliano: hanno lunghi capelli sciolti sulle spalle, mentre la mamma ce li ha corti, hanno la pelle molto chiara e gli occhi azzurri come il cielo, mentre la mamma ha gli occhi neri. E poi sono silenziosi e molto seri, non ho sentito le loro voci e non mi hanno detto nulla.
Avevano delle belle ali grandi vero? Chiese nuovamente la dottoressa con un sorriso dolcissimo. No, rispose Anselmo, niente ali. Indossavano lunghe vesti bianche e leggere che scendevano fino a terra e si muovevano molto velocemente, a grandi balzi, erano molto agili. Il papà non era contento quando ha dovuto partire, voleva restare con me, ma loro lo hanno portato via, si vede che doveva proprio tornare in cielo.
Si concluse che il bambino, stanco per la lunga camminata, doveva essere precipitato in un sonno profondo e aveva sognato tutta quella storia. Il caso fu archiviato, ma si dispose che Anselmo avrebbe dovuto fare dei colloqui periodici con la psicologa per tenere sotto controllo la situazione e per vedere come l’esperienza veniva elaborata o se qualche ulteriore elemento veniva a galla. Naturalmente né la mamma, né il nonno, né nessun altro in paese pensarono per un solo istante che la storia raccontata dal piccolo potesse avere un fondo di verità, ma non vi era alcuna teoria ragionevole che potesse spiegare l’accaduto e soprattutto restava irrisolta la questione dell’uomo che aveva portato Anselmo nel bosco. Fu solo qualche giorno dopo che il mistero iniziò a dipanarsi.
Corse voce in paese che a Sovramonte, una borgata poco distante, fosse scomparso un uomo. Il nonno lo conosceva, si trattava di uno scapolo quarantenne, un poco di buono, spesso ubriaco, che aveva avuto anche qualche problema in passato per aver molestato dei ragazzini. I bene informati dicevano che se ne era andato, infatti non aveva più buoni rapporti con nessuno, ed era stato visto per l’ultima volta proprio la mattina del giorno in cui Anselmo era scomparso.
Nella mente del nonno iniziò a farsi strada un sospetto. Andò nel bosco e si recò nel luogo dove era stato ritrovato suo nipote. La scena era ancora intatta: il letto di foglie su cui giaceva Anselmo addormentato, il grande albero sotto il quale il bambino si era seduto con il suo rapitore (e ora il nonno sapeva chi era). Il vecchio iniziò a studiare il terreno: in quel luogo non vi erano tracce particolari, salvo l’impercettibile impronta di un paio di zoccoli proprio sotto il grande albero. Poco lontano altri zoccoli, poi delle tracce molto confuse, che potevano essere quelle di una colluttazione, infine altri zoccoli e tracce di un corpo che veniva trascinato. Poco distante, duecento metri al massimo, tra due rocce ricoperte di muschio, una fenditura triangolare dall’aspetto buio e minaccioso, con spifferi gelidi che uscivano come dalla bocca di un gigante di pietra. Era il bus dele anguane.
una storia particolare che a tratti commuove e a tratti lascia col fiato sospeso e fa volare la fantasia
Grazie Lud, una fiaba vecchio stampo… sono un romanticone io 🙂
E ora leggeremo, con calma e curiosità… 🙂
Attendo il vostro giudizio 🙂
Saremo implacabili!!1 🙂 🙂 🙂
Ho apprezzato questo racconto per il suo tono da “racconto raccontato”, che al di là dei gusti personali (i racconti-raccontati possono piacere o non piacere) è il frutto consapevole di una tua precisa scelta ed è condotto con coerenza, senza cedimenti a improbabili effetti speciali che sarebbero suonati come stonature.
Uno di quei racconti da ascoltare e riascoltare d’avanti a un camino acceso mentre fuori nevica, come suggeriva una tua lettrice di qualche commento fa, con un’immagine tanto appropriata da rispecchiare più di tante parole lo spirito che lo pervade. Hai un bel modo di narrare, uno stile semplice ma perfettamente centrato, esempio di uniformità dal primo all’ultimo rigo. Una prosa persino ingenua (volutamente credo) come si conviene a una storia che affonda le sue radici nella tradizione popolare.
Ho un solo dubbio: il clou della vicenda è molto ben preparato, ha una sua gradualità in cui le belle immagini della montagna si intrecciano alle vicende familiari dei protagonisti; Il rapporto padre- bambino apre e chiude la storia che dunque ha una sua bella circolarità, ok ma alla fine (è la mia impressione a caldo, magari poi rileggerò tutto insieme) è come se tu avessi deciso (dopo tanta fatica) di chiudere in fretta la storia, come a dire: “ho già dato”.
Il lettore (o meglio io) non dispone di molti elementi per capire ciò che è accaduto nell’anfratto della Anguane, le cui tracce restano impresse nelle impronte di zoccoli sul terreno. D’accordo, ma cos’è accaduto?
Ma Il mio giudizio ( per quel che vale) rimane certamente positivo. Felice di averti seguito e a presto.
Ciao Gianluigi
grazie per questa tua analisi così dettagliata. Il tuo giudizio denota una lettura molto attenta che non può che farmi un immenso piacere.
Volevo scrivere un racconto che lasciasse spazio all’immaginazione del lettore, dando la possibilità ad ognuno di “creare la propria storia”. Questo è uno dei motivi per cui su alcuni fatti non mi sono espresso in modo definitivo. Un altro motivo è anche per evitare effetti speciali che avrebbero stonato (come giustamente dici anche tu).
Volevo scrivere una via di mezzo tra un racconto di montagna e una fiaba, per questo ci sono elementi reali (bambino che scompare, tema quanto mai attuale) ed elementi magici che tuttavia non si manifestano mai con certezza: rimane fino alla fine il dubbio sull’esistenza delle anguane (non sarà solo l’immaginazione del nonno?) e il dubbio sull’identità dello sconosciuto rapitore (è il padre tornato dal cielo o un impostore? Non dimentichiamoci dell’altro uomo scomparso da Sovramonte…)
Anche l’ambientazione è volutamente lasciata nel vago. Sicuramente la storia non si svolge ai nostri giorni: non si menzionano mai telefoni, computer e televisione, si cita solo una “corriera” e anche i nomi sono un po’ antiquati, ma si sa che in montagna certi nomi si usano ancora. Il periodo quindi potrebbe essere vent’anni fa ma anche tra le due guerre mondiali.
La prosa è volutamente ingenua, proprio per tentare di creare un’atmosfera fiabesca. Spero di esserci riuscito e di non essere stato troppo melenso…
Infine veniamo all’epilogo. Qui le spiegazioni secondo me sono almeno tre. Se diamo credito ad Anselmo il rapitore era veramente suo padre e le creature intervenute per riportarlo in cielo erano angeli, le impronte degli zoccoli potrebbero essere state lasciate da camosci o da altri ungulati di cui le montagne abbondano. C’è però la questione dell’uomo di Sovramonte, che aveva precedenti per molestie a minori: potrebbe aver rapito lui Anselmo spacciandosi per suo padre (di cui Anselmo non ricorda nulla), ma sul più bello, quando stava per consumare il delitto, arrivano le anguane e fanno giustizia, trascinandolo nel loro antro. Infine c’è la teoria più razionale di tutte: un bambino trascurato (la mamma non c’è mai) e annoiato (in paese non succede mai nulla) che fugge volutamente di casa e si inventa tutto per attirare l’attenzione.
Tu per quale propendi?
Per la seconda, non so bene perchè, forse perchè farebbe emergere il lato “buono” delle anguane e quello “cattivo” dell’orco (inteso come uomo).
—–
Andrea, fai un salto di là e scrivi qualcosa di 100 parole (ma anche meno) sul tema: “Il cambiamento” ti aspetto ehhh!
Volentieri, ma come faccio? Ve lo mando via email?
Ciao Andrea, ho letto con piacere l’intera fiaba. Conosco già il tuo narrare, dunque non scendo nello specifico – di esso. Man mano che scorrevo nella lettura della favola, ho segnato i punti che mi hanno colpita maggiormente:
– il gioco di immaginazione e realtà che trasuda;
– il rapporto nonno nipote;
– la scelta (originale) dei nomi;
– il ritmo di attesa e mistero che si respira;
– la bellezza di chi ama le cose semplici;
fattori questi rendono la tua fiaba molto interessante e bella, per non ripetermi. L’immagine finale è confusa, forse perché altro è, che la stessa raccontata dal nonno; anche se a mio dire si era conclusa già, (con emozione) con la visione dell’angelo del papà.
Un abbraccio.
Ciao Gina, grazie dei complimenti. Mi fa molto piacere che ti sia piaciuta la storia, è piaciuto molto anche a me scriverla!
Ho volutamente cercato di creare un’atmosfera magica, ma senza eccedere con gli “effetti speciali”, lasciando che il lettore veda ciò che desidera. Sono possibili diverse interpretazioni e ovviamente sono tutte possibili! Solo su una cosa ho voluto che non ci fossero dubbi: ad Anselmo non è successo nulla di male e ha un bellissimo ricordo di quella passeggiata nel bosco, chiunque fosse il suo accompagnatore…
Un abbraccio e grazie ancora!
Andrea
Ciao Andrea ti faccio contattare da Moby per avere l’accredito così puoi pubblicare tu direttamente. Oppure, più sbrigativamente manda il tuo mini racconto alla nostra mail.
Lo pubblichiamo noi a tuo nome per adesso. A presto
Pingback: Anselmo nel bosco delle Anguane (e dell’Orco) – Conclusione | rosalbax
L’ha ribloggato su rosalbaxe ha commentato:
Anselmo un bellissimo mistero
Bel racconto, con un piede nella realtà e uno nella fantasia.
Grazie!
La magia del tuo novellare sta proprio nella Semplicità che colpisce ed emoziona il lettore. Complimenti
Passa una lieta giornata
Eloisa
Ciao Eloisa, felice davvero che ti sia piaciuto. Ho visto che hai cambiato gravatar, molto bello anche questo! Ti auguro un felice fine settimana!
Andrea
Ce l’abbiamo fatta!!! tra tosse, mal di testa, aereosol, l’abbiamo letta 🙂
E non solo, stampata con tanto di nome dell’autore e immagine…
Bella, dolce, dolorosa, ma che sa di vita. io l’ho trovata tanto fantastica (per via del mondo di mezzo9 da credere che tutto sia realtà, perchè io ci sono cresciuta con storie di elfi, fate e quant’altro. hai scritto una bella “favola”.
Per Meli è fantastica (da piccola aveva lo gnomo gedeone che spesso mi imponeva brusche frenate per non investirlo 🙂 ), però avrebbe vboluto sapere qualcosa di più sul bus delle anguane, diciamo un seguito….sarebbe curiosa di entrare in quel buco…La domanda che lei fa (eh caro mio se credevi di cavartela così!) è (riporto testualmente): chiedi ad Andrea se “delle” è scritto con la doppia nel titolo, dopo con una solo “l” è perchè devo leggerlo come se fosse un dialetto o èun errore? 🙂 E adesso fai tu!!!!
Complimenti Andrea, la tua anima è oro, non avevo dubbi.
Mamma mia Paola, quanti complimenti… Devo stare con i piedi per terra e non montarmi troppo la testa, ma sono davvero felice che vi sia piaciuta!
Sai che il bus dele anguane esiste veramente? E’ una caverna nei pressi di Perarolo, in provincia di Belluno. Se cercate con Google trovate immagini, leggende e video. Meli ha intuito correttamente il motivo per cui ho scritto “dele anguane” e non “delle anguane”: in dialetto veneto le doppie non esistono e poichè si parlava di “bus” (“buco”) ho deciso di scrivere in dialetto anche la preposizione articolata.
Entrare in quel buco? Non so se è una buona idea, meglio lasciare in pace il Piccolo Popolo, non si sa mai… Però potrei scrivere qualche altro racconto, qualche mezza idea ce l’avrei, vedremo, vedremo.
Un abbraccio a tutte e due!
Ci scometti che dopo stè notizie me tocca venì a belluno? Ti pare se si perde il bus….
Però stà figlia mia è in gamba… 🙂
Dai scrivi, ci piace!!!!!
(complimenti meritatissimi 😉
Ma dai non ne vale la pena, certe cose fanno effetto finché stanno nel mondo della fantasia, poi quando si vedono dal vero deludono un po’. Piuttosto venite a farvi una vacanza sulle Dolomiti, che di luoghi magici ne hanno moltissimi. Ciao e buona domenica!
Qualche puntatina l’abbiamo fatta…devo sempre mettere la foto per confrontarla con la tua, domani la cerco.
Per quest’anno il programma ferie è fatto, ma la “ragazza” ha già proposto per il prossimo anno Belluno, San Candido, e un paese che non ricordo, dove ha un carissimo amico…
Ahahah anche il mio “ragazzo” fa così! Ciao